I primi tentativi nel dopoguerra di rinverdire le antiche tradizioni di Gallicano,
furono rivolti soprattutto alle mitiche
staffette podistiche che già si svolgevano
prima della guerra.
I ricordi personali
mi riportano al 1956 quando partecipai
ad una corsa che oggi sembrerebbe
inusuale. La competizione aveva luogo
al termine della processione di San Jacopo
che si svolgeva nel cuore del paese,
nella centralissima Via Cavour.
Il viadotto
della Turrite ancora non esisteva
ed il percorso degli atleti si sviluppava
“ad andata e ritorno”. Infatti i primi staffettisti
partivano “sul ponte” imboccando
via Cavour fino all’allora negozio Poli,
qui il cambio del testimone: avveniva
frontalmente e appena ricevuta la torcia
luminosa del compagno che lo incrociava,
il secondo atleta partiva in senso
contrario e dando il cambio successivo
sul ponte, gli ultimi staffettisti tagliavano
il traguardo davanti al municipio.
I cambi erano particolarmente difficoltosi
perchè, con tratti così brevi, i corridori
erano sempre abbastanza vicini ed
i quattro in partenza andavano incontro
ai quattro compagni in arrivo.
Si può immaginare
la confusione che si verificava,
considerando che non c’erano corsie e
l’illuminazione era abbastanza carente
all’epoca.
Personalmente ricordo di
essere stato investito da un avversario
alla partenza, con caduta del testimone
che recuperai velocemente, soprattutto
non ho mai dimenticato quando arrivai
al cambio “dal Poli” in salita con uno degli
avversari che, partendomi di fronte in
discesa, mi stese al suolo.
Una delle particolarità di allora era che
non esistevano suddivisioni rionali definite
e partecipavano numerosi gruppi
scelti fra singole località.
C’erano i rappresentanti
di Via Cavour, del Colletto,
del Castello, del Muretto, della Mandria,
di Via Serchio e così via; tant’è vero che
nella stessa serata si svolgevano le fasi
elimintatorie e la finale.
Negli anni successivi,
almeno saltuarmente continuò
la tradizione della staffetta che cambiò
però sfidanti e percorsi.
Dopo la realizzazione della Via della Repubblica
la gara diventò più lunga ed i
cambi avvennero regolarmente, trasferendosi
nella parte più nuova del paese,
con l’arrivo davanti a “Villa Simonini”; la
sfida era però soprattutto fra Gallicano
ed i paesi vicini, storici avversari. Fino a
quando, alla fine degli anni sessanta, l’allora
Sindaco dottor Gastone Lucchesi
si fece promotore della costituzione del
“Comitato per i festeggiamenti di San Jacopo”.
Il Comitato, che mi volle Presidente,
si impegnò in varie manifestazioni, fra
cui ebbe spicco un singolare ed apprezzato
concorso ippico, ma soprattutto fu
ripristinata l’antica tradizione della staffetta
paesana.
Fu in quel periodo che si iniziò a dare un
certo ordine alla suddivisione del paese
in rioni, che trasse in parte ispirazione
dalle antiche contrade di Gallicano.
Nacquero così quasi spontaneamente,
ma già con un certo spirito di sfida, la
Roccaforte, la Strettoia, i Bufali e la Dinamite
(diventata dopo poco tempo il
Monticello).
Anche il percorso divenne quello attuale,
dato che nel frattempo era stato
realizzato il viadotto sul torrente Turrite.
E’ divertente a questo punto ricordare
come avvenne la scelta dei colori rionali:
qualche giorno prima della manifestazione
con altri componenti del
Comitato, mi ritrovai, come succedeva
frequentemente, presso l’orologeria
dell’amico Gualtiero Ponziani, in piazza
Vittorio Emanuele, anche lui membro
del Comitato.
In quell’occasione fu rilevato
che i rioni non disponevano di un
abbigliamento decoroso per gareggiare,
così mi recai nel magazzino di Frida
Simonini per reperire il necessario; servivano
delle cannottiere colorate per
distinguere i diversi rioni.
Fu abbastanza
semplice trovare quattro magliette azzurre,
quattro verdi, quattro rosse, ma
poi quelle colorate erano esaurite e non
rimase che prenderne quattro bianche.
Tornato in piazza con le cannottiere da
assegnare, furono fatti quattro biglietti,
ciascuno indicante un colore ed altrettanti
con i nomi dei rioni, inseriti in due
scatole e chiamato un bambino che
passava davanti al negozio del Ponziani,
gli facemmo estrarre gli abbinamenti.
Nessuno ha mai ricordato chi fosse questo
piccolo inconsapevole bambino che
ha dato il via ad un appassionato attaccamento
ai colori rionali.
Le manifestazioni di san Jacopo hanno
iniziato però ad assumere un’altra veste
ed un’altra importanza dagli inzi degli
anni settanta, quando fu fondata la Proloco.
Il nostro paese incominciò a vivere
fasi entusiasmanti in particolare nell’ambito
del folklore, nella cura dell’immagine
e nel recupero delle tradizioni.
Era cresciuto l’orgoglio ed il senso di appartenenza
al rione, oltre al forte sentimento
con cui la popolazione viveva la
serata della staffetta.
I rioni iniziarono fin dal giorno precedente
la “Luminara” a scorazzare per il
paese con stravaganti figure e sorprendenti
marchingegni che esaltavano il
proprio rione deridendo gli altri.
A Sant’Andrea, con Giuliano Brogi, avevamo
rivestito di cartone l’Ape di Roberto
Biagi, dipingendola e colorandola in
modo da assomigliare all’arco conosciuto
come “Arco di Francesco V duca di Modena”.
La realizzazione era stata appositamente
eseguita in un’aia adiacente
alla strada di Sant’Andrea (l’Aia del Palletta),
in modo da esser vista da chiunque
per stimolare la creatività degli altri rioni.
Queste iniziative rionali ebbero un tale
successo che spinsero la Proloco nascente
a far confrontare i rioni con il loro
spirito creativo, la capacità realizzativa
ed il grande impegno di tantissimi che
hanno portato il Palio nel suo complesso,
all’attuale straordinario successo.
Pierluigi Angelini
"L'Aringo - Il Giornale di Gallicano" - anno 1 numero 2, luglio 2015. "Speciale Palio di San Jacopo"
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