mercoledì 2 gennaio 2013

Lo scempio delle Apuane - E ora ce le stiamo mangiando

“Ricordiamo che il marmo è un bene non rinnovabile, quindi l’avventatezza di oggi non avrà risarcimenti futuri”.

Foto archivio Daniele Saisi
Questa la frase contenuta in uno dei tanti articoli prodotti in rete da ricercatori, studiosi, ambientalisti, appassionati della montagna, o semplici cittadini rispettosi del nostro futuro (per approfondire l’argomento cercate anche il Progetto Marmi Alpi Apuane o Mauro Chessa).
Sono in molti da anni a lavorare intorno alla questione delle Alpi Apuane e del rapporto tra escavazione e distruzione del paesaggio.
Sono raccolti in alcune associazioni ma quella che ha maggior successo e visibilità è “Salviamo le Apuane” che ha anche un gruppo molto numeroso su Facebook. Tra questi cittadini troviamo volti e nomi noti agli ambienti di coloro che pensano ad un futuro sostenibile e solidale; Tetti, Baroni, Marchi sono solo alcuni che nel tempo si sono conquistati a pieno diritto il titolo di difensori delle Alpi Apuane (e non solo), con una regola: tutte le battaglie devono passare attraverso l’informazione, la conoscenza, la preparazione. E questo il compito assunto molti anni fa e che oggi ha creato cittadini che sono diventati negli anni vere e proprie sentinelle sulle Apuane e che possono ricostruire la tremenda cronistoria della quotidiana distruzione delle nostre montagne.
Cronaca fatta di cave all’aperto, di ravaneti, di gallerie, di polveri e sprechi, di arditi tagli e lavori notturni.
Dicevamo che questi cittadini potrebbero narrare attraverso fotografie e filmati quanto è cambiato sia sul versante versiliese, sia su quello garfagnino. Potrebbero farlo ma per quale motivo dovrebbero i cittadini che se ne stanno in valle e che non alzano mai lo sguardo verso le Apuane o che non si sono mai interessati allo scempio della montagne, stare ad ascoltarli?
Ecco il problema è tutto qui. Il silenzio vitreo su una lenta e impietosa agonia di una delle parti geologiche più belle della Terra. Ma lasciamo stare la prosopopea e i paroloni, i lunghi discorsi e certi romanticismi e immergiamoci nel mondo del marmo. Perché di questo vogliamo parlarvi.
Il marmo ha molte qualità con nomi particolari e suggestivi: Acquabianca, Zebrino, Fior di pesco, Grigio trambiserra, Persichino della rava, Verde Luana. E poi ancora il Bardiglio, il Cipollino e il Bianco; e su tutti il sovrano che è lo Statuario. E’ famoso per via delle sculture in tutto il mondo e per questo dal 1800 l’estrazione industriale ha preso il posto a quella tradizionale, lenta e faticosa, ma rispettosa dei “tempi della montagna”. E diciamo la verità, il marmo vale molto e basta tagliarlo per portarlo a valle in blocchi. Nulla di più semplice. A costi ridotti si fanno profitti immensi. E questo il problema. Addentriamoci nella storia per capire meglio prendendo brani da articoli di Eros Tetti, Mauro Chessa e altri studiosi.
La questione degli ‘agri marmiferi’ (così sono definite le cave apuane) è antica di almeno tre secoli. Gli estensi emisero editti nel 1751 e nel 1846 per impedire che i cavatori potessero percepirli come ‘cosa loro’. Le norme riconoscevano gli esistenti usi civici sulle cave in favore delle comunità locali, per tutelare queste dai soprusi. Tutto questo per evitare usurpazioni e possedimenti perpetui illegittimi. Altra legge è quella del 1852 e si chiamava proprio “Legge delle Usurpazioni” e trova – guarda caso - un corrispettivo legale con una sentenza della Corte Costituzionale italiana del 1995 ove si stabilisce: “che quasi la totalità delle cave sono patrimonio indisponibile del Comune, possono essere date in concessione a privati solo a titolo oneroso e temporaneo”.
Di fatto lo Stato dopo l’unità si è disinteressata degli usi civici lasciando che i privati potessero fare e disporre a piacimento.
Tutto questo è durato fino al 1927, quando fu emanata la legge mineraria che però stabiliva che per coltivare una cava non era necessaria l’autorizzazione ma era sufficiente comunicare l’inizio delle attività al Comune 8 giorni prima.
Per farsi venire anche un bel mal di testa basta aggiungere che il Comune di Massa non ha mai approvato un regolamento in merito, mentre Carrara ha adottato norme nel 1995, ma si sono dimenticati pezzi qua e la, di fatto lasciando ancora mano libera alle società private. Leggiamo in alcuni documenti degli ambientalisti/studiosi: “Il processo di impossessamento delle cave è iniziato nella metà dell’800 con l’affermarsi della produzione di tipo industriale; già nei primi anni del ‘900 l’intero comparto era in mano solo ad una ventina di ditte, tale condizione si consolida fino al tempo del fascismo. […] Quando i padroni delle cave fallirono in massa (la ‘grande crisi’ del ‘30) la Montecatini, sostenuta dalle gerarchie fasciste, rilevò il 60% delle proprietà marmifere Carraresi, per poi vendere a società, prima statali e poi private. Una mano la dette persino la Costituzione (1948) che ‘dimenticò’ gli usi civici”.
Insomma una serie di pasticci che alla fine finiscono con l’aiutare solo pochi che incassano molto.
L’esito di tutto questo è che “Si tratta di un comparto a caratterizzazione ‘oligopolistica’, con poche imprese di dimensioni maggiori che incidono per una fetta particolarmente consistente sul totale del fatturato”, come recita la ricerca realizzata nel 2009 dall’Istituto di Studi e Ricerche di Massa Carrara Nel frattempo l’intero comparto del marmo è in crisi. Centinaia di addetti finiscono a casa senza lavoro, e paradossalmente “in termini numerici si deve registrare che in un secolo si è passati da 14.000 occupati nelle cave ai circa 1.000 attuali, mentre la produzione in blocchi è passata da 200.000 tonnellate alle attuali 1.400.000.
Lo sviluppo delle nuove tecnologie estrattive ha prodotto un’esplosione della produttività procapite: dalle 50 ton/anno per addetto di 60 anni fa alle oltre 1.000 attuali”. Per avere una valutazione dell’estensione delle superfici in gioco si pensi che, secondo il già citato Progetto Marmi Alpi Apuane, l’area è interessata da 662 ravaneti, che coprono la superficie di 10.362.051 mq, e 785 cave attive, inattive o abbandonate; quelle dettagliate con una scheda ed individuabili con un toponimo sono 566, nei comuni di Careggine (4), Carrara (175), Casola in Lunigiana (5), Fivizzano (18), Massa (105), Minucciano (41), Molazzana (7), Montignoso (3), Pietrasanta (11), Serravezza (61), Stazzema (96), Vagli di Sotto (40). Un vero è proprio labirinto di estrazioni che negli ultimi anni stanno virando e trovando sempre maggior interesse alla polvere di marmo, agli scarti perché più facili da trasportare e con un maggior guadagno.
E con una novità incredibile. Come ha scritto Mauro Chessa le Apuane oggi ce le stiamo mangiando. Il detrito viene polverizzato in carbonato di calcio e così impiegato nell’alimentazione umana, nei dentifrici, per la produzione di plastiche, gomme, pneumatici, isolanti, vernici, colle, carta, prodotti chimici, farmaceutici, cosmetici e nell’edilizia.
Insomma le Apuane stanno subendo un saccheggio impressionante a ritmi vertiginosi. In pochi anni, se ne nessuno metterà mano alla questione, per pochi spiccioli sarà tutto distrutto. E il problema non sarà solo estetico: il dissesto idrico farà perdere molto buone fonti di acqua pura e al contempo lo squilibrio del territorio porterà ad un aumento degli eventi alluvionali.
Per non parlare dell’inquinamento, delle polveri sottili e dell’impatto sul turismo. E tutto per pochi spiccioli, perline colorate, specchietti come gli indigeni ricevevano dai conquistatori dei nuovi mondi.
Piccoli tesoretti che rimangono sul territorio nelle tasche di pochi. E bello che un tempo si diceva che i Liguri Apuani erano scaltri, furbi ed eccellenti combattenti.


Approfondimento
Cosa è il carbonato di calcio e dove si usa Il CACO3 in particolare, grazie al grado di purezza che oscilla dal 98,50% al 99,50% si presta ad un impiego molto più vasto dei comuni calcari. I campi di applicazione spaziano in diversi settori:
- settore dell'agricoltura: fertilizzante, correttore di acidità dei terreni.
- nell’alimentazione umana sotto forma di additivo alimentare (E170 oppure Calcium hydrogen carbonate o carbonato di Calcio).
- settore della zootecnia: additivo nell'alimentazione animale, integratore. Il carbonato di calcio è il sale di calcio dell'acido carbonico e viene utilizzato in percentuali stabilite dalla legge nei mangimi per gli animali.
- settore dello sport: per tracciare le linee bianche del terreno di gioco e delimitare così il campo di calcio.
- settore del vetro: fibre di vetro, fibre ottiche.
- settore chimico legato all'edilizia: idropitture, colle, intonaci.
- Idropitture. Il carbonato di calcio è la carica più importante per la composizione di idropitture. Le cariche sono polveri che appesantiscono il prodotto.
- Colle. La mescola si esegue in un macchinario, aggiungendo nell'ordine e nelle quantità prestabilite i vari additivi quali cariche (carbonato di calcio), rinforzanti, stabilizzanti, protettivi.
- Intonaci. La materia prima per la produzione della calce e quindi per intonaco finale è il calcare, roccia sedimentaria ricca di carbonato di calcio.
- settore della carta. Viene utilizzato nei processi di patinatura della carta come sbiancante ed opacizzante.
- settore delle fonderie: raffinazione dei metalli.
- settore del calcestruzzo.
- settore depurazione acque. La funzione è di neutralizzare gli acidi e le basi utilizzando soluzioni di idrossido di sodio e carbonato di calcio per aumentare i livelli di pH.
(Riferimenti in rete Mauro Chessa).

Andrea Giannasi

Fonte: Il Giornale di Castelnuovo

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