La ricchezza geologica è una delle principali caratteristiche del territorio delle Alpi Apuane e, al tempo stesso, causa della distruzione di un parco naturale la cui biodiversità botanica risulta straordinaria.
Il parco delle Alpi Apuane è un parco naturale regionale istituito nel 1985 |
Il parco delle Alpi Apuane è un parco naturale regionale istituito nel lontano 1985 per tutelare (almeno sulla carta) una delle catene montuose più caratteristiche della regione Toscana e che presenta aspetti naturalistici e peculiarità geologiche invidiabili e uniche anche rispetto a molti dei parchi nazionali del nostro paese. All’interno degli oltre 20.000 ettari di superficie sono disseminati una grande varietà di ambienti, alcuni dei quali si estendono per poche migliaia di metri quadrati.
Si tratta quindi di un territorio la cui biodiversità botanica risulta straordinaria. Al suo interno infatti, sono risultate presenti circa il 50% delle specie italiane di erbe, arbusti ed alberi e questo nonostante si tratti di una ristretta fascia di territorio non più lunga di una trentina di chilometri. Vi nidifica l’aquila reale e vi si trovano numerose specie di anfibi considerati rari, ai quali si aggiungono diverse specie di uccelli fortemente rupicoli, come il codirossone, i gracchi alpini e i gracchi corallini.
Il territorio delle Alpi Apuane risulta poi particolarmente studiato per la sua geologia. All’interno delle montagne infatti si trovano una moltitudine di cavità carsiche, alcune delle quali spettacolari e profondissime, regno di esseri viventi molto particolari, adattati ad ambienti privi di luce ed estremamente delicati. Oltre a ciò questa catena appenninica presenta come un libro aperto la geologia ed i suoi fenomeni, e vi si rinvengono minerali di grande bellezza e rarità.
Ma, se è proprio la ricchezza geologica una delle caratteristiche che più rendono interessante e degno di protezione il territorio delle Apuane, essa è anche la causa di una distruzione scellerata, di interessi economici e politici enormi e della quasi totale assenza di tutela.
Infatti, pur essendo un parco naturale da ormai molti anni, l’attività estrattiva nelle enormi cave di marmo non si è mai arrestata, ed anzi risulta aumentare progressivamente.
Il territorio delle Alpi Apuane risulta poi particolarmente studiato per la sua geologia.
Il territorio delle Alpi Apuane risulta poi particolarmente studiato per la sua geologia |
Il marmo che si estrae da queste cime e valli è uno dei più pregiati al mondo, per il suo aspetto bianco uniforme, le sue venature traslucide e la sua purezza. Lo hanno utilizzato i grandi scultori del rinascimento, ha rivestito pavimenti di cattedrali e ne ha sorretto con le sue colonne le navate. Ora è usato per creare piani di cucina, scale, bagni, sculture che ricordano i nani da giardino e, ancor peggio, se ne ricavano enormi quantità di polveri per i dentifrici ed altri prodotti industriali.
Fino agli anni venti del secolo scorso da tutte le Apuane si estraevano all’incirca cento mila tonnellate di marmo all’anno. Una bella cifra, che però non ha niente a che vedere con gli oltre 5 milioni di tonnellate che si estraggono adesso ogni anno. Si tratta di cifre esorbitanti, che diventano ancor più amare se si pensa che solo il 20% di questa valanga di roccia è utilizzata per fini artistici o edili, il restante 80% consiste in scaglie e viene ridotto a detrito finissimo per essere utilizzato a fini industriali. E come al solito ci sono grandi multinazionali che gestiscono questa montagna di affari.
Le cave per l’estrazione del marmo sono quasi tutte a cielo aperto e anche quelle poche che si sviluppano in galleria non creano meno danni all’ambiente, fatta eccezione per l’aspetto paesaggistico. In entrambi i tipi di escavazione del marmo vengono sistematicamente intercettate e danneggiate le falde acquifere o vengono contaminate da polveri di marmo. Macchinari degni di un film fantascientifico tagliano, trascinano e trasportano la roccia, inquinando l’aria con i loro potenti motori e con le polveri finissime e riempiendo di frastuono intere vallate.
Fino agli anni venti del secolo scorso da tutte le Apuane si estraevano all’incirca cento mila tonnellate di marmo all’anno.
Fino agli anni venti del secolo scorso da tutte le Apuane si estraevano all’incirca cento mila tonnellate di marmo all’anno |
L’attività di estrazione è risultata così intensa da ridisegnare la topografia di intere montagne, con cime ormai inesistenti, fiumi e sorgenti cancellati, crinali ormai ridotti a grottesche gradinate. Tutto questo in un territorio che è soggetto, a causa della vicinanza con il mare, ad abbondanti e intense precipitazioni, che hanno già in passato provocato vere e proprie alluvioni.
Il legame tra le cave e l’inquinamento delle sorgenti è stato dimostrato anche da uno studio di Legambiente Carrara. “La prova della connessione diretta tra cave e sorgenti è disponibile già da alcuni decenni: sul fondo delle vasche di decantazione delle sorgenti, infatti, giacevano depositi della fine sabbia silicea (proveniente dal lago di Massaciuccoli) usata per il taglio col filo elicoidale. Poiché quella sabbia era estranea al bacino ed era usata solo per la segagione in cava, si trattava già di una dimostrazione più che sufficiente. Oggi, dopo l’avvento del filo diamantato, quella sabbia non si usa più e, naturalmente, non si trova più nelle vasche delle sorgenti; è però sostituita dai depositi di limo carbonatico (marmettola) proveniente dal taglio col filo diamantato e con le tagliatrici a catena”. (Da un’intervista al professor Elia Pegollo “Le Apuane trasformate in dentifricio: il più grande disastro ambientale d’Europa”).
Circa mille camion ogni giorno trasportano centinaia di metri cubi di blocchi o detrito, provocando un inquinamento terribile lungo strade tortuose di montagna.
Circa mille camion ogni giorno trasportano centinaia di metri cubi di blocchi o detrito, provocando un inquinamento terribile ungo strade tortuose di montagna |
Ma altre ancora sono le carenze e le illegalità: infatti non sono ottemperate, né fatte rispettare le prescrizioni (?) del Consiglio Regionale del 24 luglio 1997, che specificavano tra l’altro: “le modifiche morfologiche indotte dalla coltivazione non devono alterare le linee di crinale e di vetta”. La cava Piastramarina situata sul crinale del monte Tambura, ad esempio, ha abbassato il passo della Focolaccia (m. 1650 in origine) di oltre 50 metri, devastato parte del crinale, ma continua regolarmente la sua attività (dal Blog Scempio Apuane).
Risulta evidente che il parco naturale non rispetta le sue mansioni di base, e cioè proteggere il patrimonio paesaggistico, naturalistico e storico che esso rappresenta. Questa situazione paradossale è nata dal fatto che, pur volendo accontentare in qualche modo le richieste popolari e del mondo scientifico per la creazione del parco, non si sono mai voluti intaccare in alcun modo gli interessi monopolistici e scellerati dei cavatori e delle multinazionali.
Ma, come è visibile ormai agli occhi di tutti, tali interessi sono incompatibili e contrapposti al bene comune e alla tutela dell’ambiente, e si è così deciso che in realtà il parco naturale avrebbe contato poco o niente. Si è fatto in modo di non creare gli strumenti legislativi e un regolamento decente, che avrebbe permesso di controllare e limitare le escavazioni. Si effettuano concessioni in base a regole arcaiche, quando però l’estrazione attuale di arcaico non ha nulla.
La regione Toscana, che si dice impegnata nella difesa delle risorse ambientali, nulla ha fatto nel corso di trenta anni di amministrazioni per salvaguardare uno dei gioielli naturalistici del suo territorio. Ha mostrato così la sua vera natura, quella di un manipolo di politicanti in balia degli interessi del più forte.
Fonte: Martino Danielli - il Cambiamento
Fonte: Martino Danielli - il Cambiamento
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