Verni 29 luglio 1977
Al Presidente e componenti della Pro-Loco di Gallicano
… e a chi desiderasse di prendere conoscenza delle riflessioni di una “Vernocchia” autentica sul carro che si pensa volesse rappresentare il paese di Verni in occasione della Sagra di S. Jacopo, festa titolare del paese di Gallicano.
Avviene molto comunemente, purtroppo, che si provi risentimento per ciò che altri hanno e noi no; e non sempre è possibile frenare gli impulsi deteriori dell’animo umano, è molto più facile che cadano in niente i nostri slanci di carità. Ma non c’è niente di grave fin tanto che la malevolenza di una parte si traduce in atteggiamenti di canzonatura e può magari rappresentare il cattivo gusto, la povertà di fantasia quando raggiunge lo scherno; se però rimane senza conseguenze quando dall’altra parte si accoglie la provocazione tutt’alpiù con una specie di compatimento al massimo non sorridente.
Ecco quanto avveniva nelle frequenti relazioni di stretta vicinanza tra Gallicano e Verni.
Gallicano, paese molto prolifico ebbe fino alla guerra del ’15-18 una popolazione divisa in pochi ricchi, proprietari di buone terre coltivate da molto laboriose famiglie di contadini mezzadri, e grazie alla possibilità d’irrigazione consentita dal canale irrigatorio e dalle abbondanti acque torrentizie della Turrite Verde; e per il resto una popolazione numerosa del tutto povera; di cui una minima parte, specialmente donne trovava modesta occupazione presso una fabbrichetta di filati cucirini, altra minima parte, ancora più donne che uomini era occupata presso il Polverificio Pieruccetti; ma la massima parte della popolazione maschile di Gallicano era costretta alla emigrazione stagionale in Sardegna, occupata in lavoro di bracciantato e scollettinaggio, di carbone vegetale.
Al ritorno in piena estate dopo mesi e mesi di astinenze, grandi bevute più che grandi mangiate e figli in quantità.
Nell’inverno, sempre lungo se trascorso nelle strettezze, le donne di Gallicano, veramente ammirevoli per laboriosità scaldavano la casa e i figli, anche se non molto ben nutriti (è famosa come pasto principale la cosiddetta Finestrella fatta con erbe di campo e con focaccie fatte in massima parte di solo grano turco, il caratteristico “sessantino” di Gallicano) con le legna raccolte su quel di Verni.
A Verni né ricchi né poveri perché tutti erano contadini sul proprio terreno, ma i loro castagneti allora erano veramente rigogliosi e mantenuti quasi come alberi da parco su terreno in massima parte ameno e davano castagne per i “ballocciori” gratuiti ai Gallicanesi. “Niente di nuovo sotto il sole: oggi potrebbero chiamarsi espropri proletari”. E davano farina dolce, e veramente dolce come altrettanto ricca di proprietà altamente nutritive per i necci a tutto Verni, e ancora suppergiù a una quarantina di coglitori di Gallicano, di Stiava, di Massarosa e perfino di S. Lorenzo a Vaccoli; e poi per i castagniacciai di Lucca, perché le famiglie di Verni potevano vendere assai più della metà del raccolto annuale.
Ecco a quell’epoca tornando indietro dai miei quasi ottanta anni ricordo che quasi tutte le famiglie di Verni avevano il loro forno casalingo dove cocevano il pane per tutta la settimana; pane composto di farina di grano coltivato nei loro campi con la sola aggiunta di poche patate lesse perché si conservasse morbido; ed avevano ognuna di queste famiglie uno o due maiali nel porcile, due o tre mucche nella stalla, e polli e galline in quantità; ed anche in società fra alcune famiglie qualche centinaio di pecore. Niente di più delizioso ed altrettanto profumato il formaggio pecorino di Verni. Virtù delle erbe, ossia della pastura di queste colline? Il burro venduto si crede ai Gallicanesi. E il cacio che poi è la caseina il prodotto più sano del latte veniva generalmente fritto per companatico con il neccio.
Si miei cari Gallicanesi, ricodo il vostro apostrofare la gente di Verni “Vernocchi mangia necci e cacio fritto”. Ma a Verni in ogni casa c’erano anche prosciutti, salami, cotechini, bondiole, e strutto e lardo e pancetta. Che altro dà di ottimo un maiale, animale ripugnante ma così generoso, allora qui a Verni nutrito con residuati di formaggio e farina dolce? Dà degli ossi conservati sotto sale e una volta lessato saporitissimi da mangiare con la più dolce e sana delle polente. E i polli e le uova che non venivano portati a vendere quando erano in abbondanza, la gente di Verni se li consumava per sé. Né venivano generalmente venduti i funghi prodotti su quel di Verni, di cui Voi pure Gallicanesi eravate quasi comproprietari. Voi, Gallicanesi, che avete sempre avuto il buon costume di lasciare il letto assai prima dell’alba avete ben goduto dei frutti dati dal terreno di “quel di Verni” direi molto largamente e altrettanto impunemente, perché a mio ricordo neppure un gallicanese ha subìto neppure una minaccia da qualcuno di Verni, e non per vigliaccheria, ma per sano criterio di umanità, o autocontrollo, o se lo accettate, per dignità.
Ecco ero piccola, forse cinque o sei anni, quando mio Padre, detto il Gianni di Termignoni, cominciò il taglio a sterzo dei castagni di Verni per estrazione di tannino di cui una ditta francese aveva iniziato la produzione industriale a Fornoli di Bagni di Lucca. I tagliatori di castagni erano in massima parte provenienti da Pescaglia, ma gli scollettinatori del legname da costruzione e del legname da tannino erano tutti di Gallicano, e in massima parte donne, poiché non dovunque potevano arrivare i muli per trasportare sia la legna da tannino che tavole e tavoloni all’impianto di funicolare che poi trasportava il tutto dai monti di Verni all’impianto di funicolare per Carpinazzo a Gallicano.
Come ho già detto della bella abitudine dei Gallicanesi di saltare dal letto al canto delle rondini, tra le due e le tre del mattino, alle nove o nove e mezzo al massimo la giornata di lavoro era compiuta, e tutta quella quantità di donne al ritorno dal monte Paladina o dintorni, per scendere a Gallicano preferiva il passaggio dal paese di Verni; era l’ora del neccio mattutino con il cacio fritto. Quante volte me è capitato di sentire già inoltrata in casa una o più voci “q’a donna (uguale “quella donna”) l’avete fatto il neccio?”
Ma cero, dopo un catino di pasta da necci, senza gran fatica, se ne poteva fare un altro catino. Neccio ce ne era sempre in molte case dalla porta sempre aperta, per tutti che ne desiderava.
Tutti I Gallicanesi e tutte le Gallicanesi portavano sempre appresso una tasca di robusta canapa nascosta sotto la giacca o dentro le ampie gonne rovesciate in su, e mai quella tasca arrivava vuota a Gallicano. C’erano su quel di Verni patate, faglioli, frutta, uva e castagne. Anche questi espropri proletari? I funghi invece erano considerati proprietà di ogniuno.
Signori della Pro_Loco di Gallicano io i Vernocchi molto rattoppati nel vestire come Voi avete inteso di far credere, io non li ho mai visti. E striminziti come Voi avete pensato di poterli rappresentare neppure. Molto asciutti e ben diritti, molto impettiti forse sì, ma per il loro sano lavoro e per il più sano nutrirsi con il prodotto dei loro campi.
Sì, ricordo anch’io il Vostro apostrofare la gente del mio paese così: Micci di Verni! Ma in queste parole al di là delle Vostre intensioni poco gentili non c’è niente che possa insultare i miei paesani perché gli asini sono comunemente considerati animali di forte carattere, di grande e virtuosa capacità di pazienza, dotati di spirito di briosa e festevole amicizia, nonché di spiccato gusto per la musica. E allora come dobbiamo concludere il nostro conversare?
Ma, Voi Gallicanesi, che ora grazie alla guerra del ’15-18 avete lì alle Fornaci di Barga il Fabbricane e siete diventati tutti benestanti, avete una magnifica Scuola elementare con circa una ventina di Maestri, una più bella Scuola media e siete ormai tutti persone raffinate che gusto ci avete provato a riesumare la vostra tendenza allo scherno, con beffe inutili contro chi non solo non vi ha fatto nulla, ma anche se ne ………….. infischia?
Al Presidente e componenti della Pro-Loco di Gallicano
… e a chi desiderasse di prendere conoscenza delle riflessioni di una “Vernocchia” autentica sul carro che si pensa volesse rappresentare il paese di Verni in occasione della Sagra di S. Jacopo, festa titolare del paese di Gallicano.
Avviene molto comunemente, purtroppo, che si provi risentimento per ciò che altri hanno e noi no; e non sempre è possibile frenare gli impulsi deteriori dell’animo umano, è molto più facile che cadano in niente i nostri slanci di carità. Ma non c’è niente di grave fin tanto che la malevolenza di una parte si traduce in atteggiamenti di canzonatura e può magari rappresentare il cattivo gusto, la povertà di fantasia quando raggiunge lo scherno; se però rimane senza conseguenze quando dall’altra parte si accoglie la provocazione tutt’alpiù con una specie di compatimento al massimo non sorridente.
Ecco quanto avveniva nelle frequenti relazioni di stretta vicinanza tra Gallicano e Verni.
Gallicano, paese molto prolifico ebbe fino alla guerra del ’15-18 una popolazione divisa in pochi ricchi, proprietari di buone terre coltivate da molto laboriose famiglie di contadini mezzadri, e grazie alla possibilità d’irrigazione consentita dal canale irrigatorio e dalle abbondanti acque torrentizie della Turrite Verde; e per il resto una popolazione numerosa del tutto povera; di cui una minima parte, specialmente donne trovava modesta occupazione presso una fabbrichetta di filati cucirini, altra minima parte, ancora più donne che uomini era occupata presso il Polverificio Pieruccetti; ma la massima parte della popolazione maschile di Gallicano era costretta alla emigrazione stagionale in Sardegna, occupata in lavoro di bracciantato e scollettinaggio, di carbone vegetale.
Al ritorno in piena estate dopo mesi e mesi di astinenze, grandi bevute più che grandi mangiate e figli in quantità.
Nell’inverno, sempre lungo se trascorso nelle strettezze, le donne di Gallicano, veramente ammirevoli per laboriosità scaldavano la casa e i figli, anche se non molto ben nutriti (è famosa come pasto principale la cosiddetta Finestrella fatta con erbe di campo e con focaccie fatte in massima parte di solo grano turco, il caratteristico “sessantino” di Gallicano) con le legna raccolte su quel di Verni.
A Verni né ricchi né poveri perché tutti erano contadini sul proprio terreno, ma i loro castagneti allora erano veramente rigogliosi e mantenuti quasi come alberi da parco su terreno in massima parte ameno e davano castagne per i “ballocciori” gratuiti ai Gallicanesi. “Niente di nuovo sotto il sole: oggi potrebbero chiamarsi espropri proletari”. E davano farina dolce, e veramente dolce come altrettanto ricca di proprietà altamente nutritive per i necci a tutto Verni, e ancora suppergiù a una quarantina di coglitori di Gallicano, di Stiava, di Massarosa e perfino di S. Lorenzo a Vaccoli; e poi per i castagniacciai di Lucca, perché le famiglie di Verni potevano vendere assai più della metà del raccolto annuale.
Ecco a quell’epoca tornando indietro dai miei quasi ottanta anni ricordo che quasi tutte le famiglie di Verni avevano il loro forno casalingo dove cocevano il pane per tutta la settimana; pane composto di farina di grano coltivato nei loro campi con la sola aggiunta di poche patate lesse perché si conservasse morbido; ed avevano ognuna di queste famiglie uno o due maiali nel porcile, due o tre mucche nella stalla, e polli e galline in quantità; ed anche in società fra alcune famiglie qualche centinaio di pecore. Niente di più delizioso ed altrettanto profumato il formaggio pecorino di Verni. Virtù delle erbe, ossia della pastura di queste colline? Il burro venduto si crede ai Gallicanesi. E il cacio che poi è la caseina il prodotto più sano del latte veniva generalmente fritto per companatico con il neccio.
Si miei cari Gallicanesi, ricodo il vostro apostrofare la gente di Verni “Vernocchi mangia necci e cacio fritto”. Ma a Verni in ogni casa c’erano anche prosciutti, salami, cotechini, bondiole, e strutto e lardo e pancetta. Che altro dà di ottimo un maiale, animale ripugnante ma così generoso, allora qui a Verni nutrito con residuati di formaggio e farina dolce? Dà degli ossi conservati sotto sale e una volta lessato saporitissimi da mangiare con la più dolce e sana delle polente. E i polli e le uova che non venivano portati a vendere quando erano in abbondanza, la gente di Verni se li consumava per sé. Né venivano generalmente venduti i funghi prodotti su quel di Verni, di cui Voi pure Gallicanesi eravate quasi comproprietari. Voi, Gallicanesi, che avete sempre avuto il buon costume di lasciare il letto assai prima dell’alba avete ben goduto dei frutti dati dal terreno di “quel di Verni” direi molto largamente e altrettanto impunemente, perché a mio ricordo neppure un gallicanese ha subìto neppure una minaccia da qualcuno di Verni, e non per vigliaccheria, ma per sano criterio di umanità, o autocontrollo, o se lo accettate, per dignità.
Ecco ero piccola, forse cinque o sei anni, quando mio Padre, detto il Gianni di Termignoni, cominciò il taglio a sterzo dei castagni di Verni per estrazione di tannino di cui una ditta francese aveva iniziato la produzione industriale a Fornoli di Bagni di Lucca. I tagliatori di castagni erano in massima parte provenienti da Pescaglia, ma gli scollettinatori del legname da costruzione e del legname da tannino erano tutti di Gallicano, e in massima parte donne, poiché non dovunque potevano arrivare i muli per trasportare sia la legna da tannino che tavole e tavoloni all’impianto di funicolare che poi trasportava il tutto dai monti di Verni all’impianto di funicolare per Carpinazzo a Gallicano.
Come ho già detto della bella abitudine dei Gallicanesi di saltare dal letto al canto delle rondini, tra le due e le tre del mattino, alle nove o nove e mezzo al massimo la giornata di lavoro era compiuta, e tutta quella quantità di donne al ritorno dal monte Paladina o dintorni, per scendere a Gallicano preferiva il passaggio dal paese di Verni; era l’ora del neccio mattutino con il cacio fritto. Quante volte me è capitato di sentire già inoltrata in casa una o più voci “q’a donna (uguale “quella donna”) l’avete fatto il neccio?”
Ma cero, dopo un catino di pasta da necci, senza gran fatica, se ne poteva fare un altro catino. Neccio ce ne era sempre in molte case dalla porta sempre aperta, per tutti che ne desiderava.
Tutti I Gallicanesi e tutte le Gallicanesi portavano sempre appresso una tasca di robusta canapa nascosta sotto la giacca o dentro le ampie gonne rovesciate in su, e mai quella tasca arrivava vuota a Gallicano. C’erano su quel di Verni patate, faglioli, frutta, uva e castagne. Anche questi espropri proletari? I funghi invece erano considerati proprietà di ogniuno.
Signori della Pro_Loco di Gallicano io i Vernocchi molto rattoppati nel vestire come Voi avete inteso di far credere, io non li ho mai visti. E striminziti come Voi avete pensato di poterli rappresentare neppure. Molto asciutti e ben diritti, molto impettiti forse sì, ma per il loro sano lavoro e per il più sano nutrirsi con il prodotto dei loro campi.
Sì, ricordo anch’io il Vostro apostrofare la gente del mio paese così: Micci di Verni! Ma in queste parole al di là delle Vostre intensioni poco gentili non c’è niente che possa insultare i miei paesani perché gli asini sono comunemente considerati animali di forte carattere, di grande e virtuosa capacità di pazienza, dotati di spirito di briosa e festevole amicizia, nonché di spiccato gusto per la musica. E allora come dobbiamo concludere il nostro conversare?
Ma, Voi Gallicanesi, che ora grazie alla guerra del ’15-18 avete lì alle Fornaci di Barga il Fabbricane e siete diventati tutti benestanti, avete una magnifica Scuola elementare con circa una ventina di Maestri, una più bella Scuola media e siete ormai tutti persone raffinate che gusto ci avete provato a riesumare la vostra tendenza allo scherno, con beffe inutili contro chi non solo non vi ha fatto nulla, ma anche se ne ………….. infischia?
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