Tastierista, compositore e autore di testi e poesie.
A soli 30 anni ha al suo attivo due libri (un altro è in arrivo), quattro album come solista e numerosi progetti musicali.
La distrofia muscolare, che lo costringe su una sedia a rotelle fin dalla nascita, non ha fermato la creatività e l’ingegno di Andrea Lunardi. Che anzi proprio dalla sua malattia, dalla sua esperienza di vita, ha trovato spunti per la sua arte.
«Rumori» è il suo ultimo libro di poesie. Da cosa nascono questi “rumori”? C’è un filo rosso che attraversa la sua bibliografia? Quanto della sua storia c’è in questa opera? «Volevo dedicarmi esclusivamente alla musica, e così era, poi succede che la vita ti propone certi scenari e in maniera spontanea è venuto fuori “Rumori”. In questi anni sono successe molte cose che mi hanno toccato in maniera viscerale e il mio modo di fare arte in generale ne ha risentito sensibilmente.
Questa mia terza opera letteraria ne è la sintesi, infatti le immagini evocate, gli scenari, sono un po’ diversi. Questo libro è diverso dai due precedenti, ma il filo rosso che unisce tutto c’è sicuramente, ed è l’intreccio tra vita e sentimenti viscerali. Il mio modo di scrivere ti accarezza e ti schiaffeggia insieme. In “Orgasmo del cuore” e “Ultimo petalo” (le precedenti pubblicazioni, ndr), per esempio, si vede la vita da una prospettiva ottimista, prettamente positiva, a tratti utopica.
L’amore, infatti, funge da spinta verso il domani e, anche se è mancante, c’è l’ottimismo che lo proietta nell’avvenire. “Rumori” affronta l’argomento da un’altra angolazione, più cruda e schietta, reale, senza lasciare spazio a utopie.
L’amore trova meno spazio e ha il valore del momento; non esiste, ma, quando sale la nostalgia, il cuore ha la meglio e nascono sfumature nell’oscuro. Un approccio più oscuro, appunto, che trae ispirazione dalla vita dell’artista, dalla mia vita. In questo libro ho voluto rigettare i sentimenti così com’erano, un vero e proprio rigetto sulle pagine vergini. Non ho aggiustato niente, creando quello di cui avevo bisogno per continuare a scrivere, cioè una rottura armoniosa con il passato.
La spina dorsale di “Rumori” è il dolore, che ha caratterizzato il periodo nel quale l’ho scritto. C’è il cento per cento della mia vita in ogni mia opera, ma “Rumori” è il concentrato di un vissuto per me fondamentale. Sono particolarmente legato a questo libro e credo sia il migliore. Irripetibile». Nel 2008 ha pubblicato il quarto album strumentale, “Romantic Keyboards”.
Ci sono altri progetti musicali in vista?
«Come solista sto lavorando ad un nuovo progetto. Ho abbandonato definitivamente lo stile sperimentale dei precedenti dischi per abbracciare il mio genere preferito, l’heavy metal. Inoltre è vicinissima l’uscita del disco con i “Brain”, il gruppo di cui faccio parte». Nel 2002 ha fondato il Roby Baggio Fan Club e per anni ha collaborato con altri siti sportivi.
Il calcio continua ad essere una sua passione? «Naturalmente. Il calcio è un’altra delle passioni che mi accompagna da quando sono bambino. Sarebbe stato interessante proseguire anche con il giornalismo sportivo, ma quando Roby ha smesso di giocare ho deciso di lasciare che il calcio rimanesse un passatempo, così adesso seguo il mio grande Milan, un amore che dura da trent’anni». Che rapporto ha con la malattia? Che rapporto c’è tra la sua arte e la malattia? «Non mi sono mai sentito “affetto da una malattia”. Ho sempre visto la mia vita come una vita normale, semplicemente più difficile, ma per niente differente dalle altre. Questa difficoltà sempre presente ha contribuito a plasmare il mio carattere e la mia personalità, che sono onnipresenti nelle mie creazioni.
La mia arte è l’incarnazione della mia vita, che è fatta di emozioni forti evocate dalla mia situazione. Il rapporto quindi è molto stretto». Nel 2002 si è convertito al buddismo di Nichiren Daishonin. Che ruolo ha la religione nella sua vita? «La fede è il fulcro della mia esistenza da quando ho incontrato il buddismo di Nichiren Daishonin. Incontrare una religione come questa è una fortuna immensa che ti cambia la vita. Ho compreso di essere io l’unico artefice del mio destino e ho imparato a vedere le cose da un’angolazione nettamente diversa e migliore di prima.
Ho imparato anche, dimostrandolo in diverse occasioni, che l’impossibile non esiste. Siamo noi, attraverso il nostro atteggiamento mentale, a stabilire cosa è possibile e cosa non lo è, determinando in questo modo i nostri successi e i nostri insuccessi. Senza il buddismo sarei morto».
Fonte: Il Tirreno
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