La chiusura del Bar Sport è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.... la piazza di Gallicano (Piazza Vittorio Emanuele II) è definitivamente morta!! Poi si parla di centri naturali commerciali... di finanziamenti... di rilanciare il centro del paese... bla bla... bla bla...
Riporto un bell'articolo di Claudia Ponziani del dicembre 2006 tratto da "Il Gallo Canta".
Una Piazza
Non so se gli abitanti di una grande città possano capire appieno il valore di una piazza, la funzione di una piazza.
In una città la piazza è solitamente una delle principali mete turistiche. Lì c’è il museo da visitare, il monumento da fotografare. Difficilmente però la piazza sarà il luogo prescelto dagli abitanti del posto per un appuntamento: troppo grande la possibilità di non trovarsi nel bel mezzo di gite scolastiche e di scatti di flash. Nei piccoli centri di provincia, invece, è quello il luogo menzionato da giovani e non nel darsi l’appuntamento. In piazza ci troviamo per partire. Per restare. Qui si legge il giornale. Si commentano le notizie della civetta ad alta voce, si sussurrano i pettegolezzi del giorno, bisbigliando piano.
La piazza come momento di condivisione dei fatti accaduti all’interno dei confini del paese, e oltre.
La piazza come punto di ritrovo.
Gallicano è un paese di provincia, ma la piazza ha questa funzione? No, è la risposta immediata. “Gallicano è un paese senza piazza”, è la tesi di alcuni, essendo numerose le zone circolari all’interno della parte vecchia del paese. Senza piazza o dalla troppe piazze? Non credo sia questo il problema. Il problema è piuttosto quello di uno spostamento del paese ai margini. Non un ingrandimento, ma letteralmente uno spostamento. Si costruiscono case ai lati, quei lati delimitati dal cartello “Gallicano”, e in centro rimangono solo degli edifici-fantasma dalla presenza silenziosa. Anche i negozi sono scappati dal centro, quello storico, per raggiungere l’altro centro, quello commerciale. I nonni dicono di aver visto una via Cavour con almeno trenta negozi, e sembrano favole. Non sto criticando la logica del business, in base alla quale l’offerta insegue la possibilità di una maggiore domanda (che si annida in un luogo di transito, di passaggio, come può essere la via di Fondovalle a Gallicano), ma constato semplicemente una perdita e la necessità di cambiare rotta, la necessità di fermare questo triste esodo, perché con i negozi se ne va la gente, e con loro le chiacchiere e il brusio di un paese che ha perso la sembianza di un paese, per assumere quella di un agglomerato senza forma, senza centro, senza piazza.
In una città la piazza è solitamente una delle principali mete turistiche. Lì c’è il museo da visitare, il monumento da fotografare. Difficilmente però la piazza sarà il luogo prescelto dagli abitanti del posto per un appuntamento: troppo grande la possibilità di non trovarsi nel bel mezzo di gite scolastiche e di scatti di flash. Nei piccoli centri di provincia, invece, è quello il luogo menzionato da giovani e non nel darsi l’appuntamento. In piazza ci troviamo per partire. Per restare. Qui si legge il giornale. Si commentano le notizie della civetta ad alta voce, si sussurrano i pettegolezzi del giorno, bisbigliando piano.
La piazza come momento di condivisione dei fatti accaduti all’interno dei confini del paese, e oltre.
La piazza come punto di ritrovo.
Gallicano è un paese di provincia, ma la piazza ha questa funzione? No, è la risposta immediata. “Gallicano è un paese senza piazza”, è la tesi di alcuni, essendo numerose le zone circolari all’interno della parte vecchia del paese. Senza piazza o dalla troppe piazze? Non credo sia questo il problema. Il problema è piuttosto quello di uno spostamento del paese ai margini. Non un ingrandimento, ma letteralmente uno spostamento. Si costruiscono case ai lati, quei lati delimitati dal cartello “Gallicano”, e in centro rimangono solo degli edifici-fantasma dalla presenza silenziosa. Anche i negozi sono scappati dal centro, quello storico, per raggiungere l’altro centro, quello commerciale. I nonni dicono di aver visto una via Cavour con almeno trenta negozi, e sembrano favole. Non sto criticando la logica del business, in base alla quale l’offerta insegue la possibilità di una maggiore domanda (che si annida in un luogo di transito, di passaggio, come può essere la via di Fondovalle a Gallicano), ma constato semplicemente una perdita e la necessità di cambiare rotta, la necessità di fermare questo triste esodo, perché con i negozi se ne va la gente, e con loro le chiacchiere e il brusio di un paese che ha perso la sembianza di un paese, per assumere quella di un agglomerato senza forma, senza centro, senza piazza.
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