Tratto da “Descrizione storica della Garfagnana” di Raffaello Raffaelli del 1879.
A questo celebre Santuario abbiamo voluto consacrare un articolo speciale, per aver agio, facendo eccezione alla brevità che ci siamo proposta nel meschino nostro lavoro, di offrire una minuta descrizione, e qualche cenno storico che abbiamo potuto raccapezzare, di un luogo così pittoresco, ai molti forastieri, che da ogni paese traggono ad ammirarne le naturali ed artificiali bellezze.
Tre sono le strade che vi conducono. L'una da Gallicano che presto, a cura di quel Municipio, diverrà ruotabile per lo spazio di circa chilometri 2.800. La seconda scende dal paese di Calomini, dopo aver percorsa una linea di 2300 metri. L'ultima finalmente viene dal Fornovolasco e dalla Petrosciana per comodo degli abitanti della Versilia.
Costà giunti, su di una ripidissima scogliera marmorea vedesi una chiesa ed un antico Eremitaggio, incastrati, può dirsi, in una rupe, che si eleva a perpendicolo per l'altezza di metri 68, e che ne asconde, quasi gigantesco ombrello, in gran parte la esistenza, con meraviglia di quanti muovono a visitare quella romantica e religiosa solitudine Per un antico portone di macigno si entra in un gran recinto o piazzale, dove ai primi passi vedi alla tua destra scaturire, gorgogliando dal vivo scoglio, due fonti abbondantissime, al pari di altre due che sgorgano limpide poco sotto l'ingresso, le quali gettano le loro fresche e dolci acque in una lunga pila, ombreggiata da un antico e stupendo salice, che sembra inchinarsi riverente a contemplare il lucido cristallo e bagnare le sue cime bicolori in quell'amena frescura. Fatti pochi passi nel vasto cortile, si presenta un antico fabbricato di quattro ambienti, con altrettanti al piano superiore, scavati tutti nella dura pietra, al pari della primitiva chiesuola, che vedi unita alla casa. Il Duca di Modena Francesco V donava nel 1846 l'uno o l'altra, col mezzo di Monsig. Francesco Strani Vescovo di Massa, all'Eremo di Calomini. Il vecchio oratorio e gli annessi alloggi vennero abbandonati, quando sorsero la nuova chiesa ed il nuovo eremitaggio. Ai quali si accede andando innanzi, e salendo per mezzo di una gradinata ad un loggiato sostenuto da quattro colonne di macigno, con sopravi una bella terrazza coperta, che serve di magnifica sala da pranzo ai viaggiatori, che vogliono respirare l'aria pura, e sentire il mormorio delle acque vicine, nel mentre che i freschi zeffiri scendono dalle circostanti selve ad aleggiare voluttuosamente intorno alle loro persone.
Il tempio attuale fu edificato nei primi anni del secol nostro, quando venne pure accresciuto l'Eremitaggio, che gli sta accanto dalla parte sinistra, per cura di due Eremiti fra Biagio Giovannini e fra Michele Vangioni. La sua facciata è quasi totalmente coperta dal portico che serve di atrio, e si vede solo la cupola, alta metri 14,96, con quattro finestre che fanno piovere molta luce nel Santuario, già illuminato dalle cinque distribuite nell'alto dei suoi muri. Ha forme semplici e regolari: il cielo è a volta reale; e la sua grandezza può dirsi prodigiosa in quel luogo, misurando dalla porta all'altare della Vergine 20 metri per 7,93 di larghezza. Tutta la parte superiore, cominciando dal presbiterio, è scavata a forza di scalpello nella roccia. Ma il forastiero non se ne accorge, essendo stata, con gusto veramente barbaro, ricoperta con stucchi la viva pietra, e distrutto per tal guisa il pregio più ammirabile ed originale di quella chiesa. Le bellezze artificiali non posson mai, anche sotto la mano del più valente artista, agguagliare la semplicità della natura. Ciò non ostante l'occhio dell'osservatore rirmane assai pago e contento degli ornamenti molteplici, e degli ori, di cui negli ultimi anni fu, con giusta ed armonica misura, abbellita, per le cure dell'attuale Cappellano, Don Angelo Simoni-Sacchi di Trassilico. L'altar maggiore, tutto incrostato di marmi a vari colori, con un ciborio di marmo bianco, di fino e squisito lavoro, potrebbe far bella mostra in qualunque de' nostri magnifici tempii. Si appoggia su due grossi pilastri, da cui sorgono sei colonne a spira, con adatti capitelli, che danno sostegno ai vaghi ornati a stucchi, con bene intesa parsimonia dorati. Sopra il coro, in alto, è collocata, dentro una nicchia scavata nella rupe, la statua miracolosa della Vergine. Anche gli altri cinque altari sono ricchi di marmi cavati in que' dintorni. Quello di S. Giuseppe si distingue per il bel marmo di fondo rosso chiaro, venato di bianco con macchie di color più livido, estratto da una cava del monte di Vergemoli nominato la Costa di Pavese. La balaustrata poi, costrutta di un rosso vario, risalta stupendamente in mezzo al bianco seminato d'oro che risplende all'intorno. Ma la cosa più singolare e meravigliosa di questo luogo è la sacristia, assai vasta, incavata del tutto nel masso, e lasciata per buona ventura così greggia e rozza, come usciva dallo scalpello degli artefici. Quando uno si trova là dentro non può a meno di esclamare, pieno di stupore: che bella cosa!
Il tempio attuale fu edificato nei primi anni del secol nostro, quando venne pure accresciuto l'Eremitaggio, che gli sta accanto dalla parte sinistra, per cura di due Eremiti fra Biagio Giovannini e fra Michele Vangioni. La sua facciata è quasi totalmente coperta dal portico che serve di atrio, e si vede solo la cupola, alta metri 14,96, con quattro finestre che fanno piovere molta luce nel Santuario, già illuminato dalle cinque distribuite nell'alto dei suoi muri. Ha forme semplici e regolari: il cielo è a volta reale; e la sua grandezza può dirsi prodigiosa in quel luogo, misurando dalla porta all'altare della Vergine 20 metri per 7,93 di larghezza. Tutta la parte superiore, cominciando dal presbiterio, è scavata a forza di scalpello nella roccia. Ma il forastiero non se ne accorge, essendo stata, con gusto veramente barbaro, ricoperta con stucchi la viva pietra, e distrutto per tal guisa il pregio più ammirabile ed originale di quella chiesa. Le bellezze artificiali non posson mai, anche sotto la mano del più valente artista, agguagliare la semplicità della natura. Ciò non ostante l'occhio dell'osservatore rirmane assai pago e contento degli ornamenti molteplici, e degli ori, di cui negli ultimi anni fu, con giusta ed armonica misura, abbellita, per le cure dell'attuale Cappellano, Don Angelo Simoni-Sacchi di Trassilico. L'altar maggiore, tutto incrostato di marmi a vari colori, con un ciborio di marmo bianco, di fino e squisito lavoro, potrebbe far bella mostra in qualunque de' nostri magnifici tempii. Si appoggia su due grossi pilastri, da cui sorgono sei colonne a spira, con adatti capitelli, che danno sostegno ai vaghi ornati a stucchi, con bene intesa parsimonia dorati. Sopra il coro, in alto, è collocata, dentro una nicchia scavata nella rupe, la statua miracolosa della Vergine. Anche gli altri cinque altari sono ricchi di marmi cavati in que' dintorni. Quello di S. Giuseppe si distingue per il bel marmo di fondo rosso chiaro, venato di bianco con macchie di color più livido, estratto da una cava del monte di Vergemoli nominato la Costa di Pavese. La balaustrata poi, costrutta di un rosso vario, risalta stupendamente in mezzo al bianco seminato d'oro che risplende all'intorno. Ma la cosa più singolare e meravigliosa di questo luogo è la sacristia, assai vasta, incavata del tutto nel masso, e lasciata per buona ventura così greggia e rozza, come usciva dallo scalpello degli artefici. Quando uno si trova là dentro non può a meno di esclamare, pieno di stupore: che bella cosa!
Anche l'Eremitaggio, che serve oggi di alloggio al Cappellano, contiene, senza parlare delle altre stanze comuni, sei celle di ordinaria e giusta grandezza, tutte incassate nella rupe, e lasciate esse pure saggiamente rifulgere delle loro semplici e naturali bellezze. La solitaria e sacra quiete che si diffonde intomo alle grigie e nude pareti di queste camerette, ove non provasi l'umido freddo dei giorni invernali, nè il caldo soffocante della estiva stagione, quanti pensieri, quanti desii suscita nel cuore del cristiano filosofo, che vede allora il nulla, e sente la noia che si nasconde nelle stanze dipinte e sfolgoranti di ori e di sete de' superbi palagi! Prima che il Governo italiano proibisse la questua stavanoa custodia del Santuario, insieme con un sacerdote, tre eremiti, che in seguito si ridussero a due, poi ad uno; i quali andavano chiedendo la carità per tutta la Garfagnana, e nelle terre lucchesi eziandio, dove, per decreto di quel Governo del 1837, godevano franchigia da ogni gabella sulla strada che guida a Gallicano. Le larghe e molte elemosine che raccoglievano servivano al decoro e mantenimento della chiesa e del Cappellano; a soccorrere i poveri pellegrini, e ad ospitare tanti benefattori che recavansi a venerare la Vergine miracolosa. Anche adesso, benché siano venute meno le offerte raccolte una volta dagli eremiti, non si cessa però dal somministrare ai devoti che vi accorrono, legna, sale ed utensili per allestire un po' di cibo, e dall'apparecchiare una camera per dormire. Nelle sere poi di gran concorso gli uomini sono messi al coperto nella vecchia, e le donne nella nuova chiesa. E tutto procede coll'ordine più perfetto, e le notti si passano salmeggiando, o recitando orazioni per meglio prepararsi alle opere di pietà del mattino seguente. I mesi destinati ai pellegrinaggi dell'Eremo sono maggio e settembre. L'affluenza de' fedeli, anche di paesi lontani, è grande, e qualche volta straordinaria, specialmente nei dì festivi.
Questo luogo era conosciuto fino dal secolo XIII, sotto il titolo di Romitorio della Penna a Calomini, dedicato a Santa Maria ad Martyres. La chiesa fu sempre, anche nel medio evo, di libera collazione dei Vescovi di Lucca, i quali vi esercitarono del continuo questo loro diritto, siccome apparisce dai libri delle Collazioni, ed in particolare da quelli del 1497 e dei successivi tempi. Aveva un'amministrazione a sé, indipendente affatto dal Rettore di Calomini, come risulta dalle memorie delle visite vescovili, e segnatamente da quella fatta da Alessandro Guidiccioni negli anni 1559 e 1570 ; e dalle successive del 1596 e del 1638, eseguite dal Cardinal Marcantonio Franciotti, e da altre, che torna inutile rammentare. Ed era naturale che avesse anche un Terrilogio suo proprio, come ne fanno fede i relativi contratti di enfiteusi e di allogamenti di beni, i quali tutti, a riserva degli orti presso il Santuario,vennero nel 1788, per ordine del Supremo Consiglio di Economia di Modena, allivellati; e più tardi, sotto la dominazione francese, diventarono proprietà demaniali, senza eccezione di sorta. Ma il Municipio di Vergemoli, cui stavano a cuore le sorti dell'Eremo, si rivolse al Governo di Milano, e potè colle sue incessanti premure ottenere che i pochi stabili rimasti invenduti, insieme con la chiesa ed il Romitorio, gli venissero donati, coll'onere peraltro del loro perpetuo mantenimento. Il Comune fece risultare da un atto pubblico l'accettazione del dono cogli obblighi inerenti; e intanto pensò a reclamare la statua della Vergine, che per ordine governativo era stata trasferita dall'eremo a Castelnuovo nel giorno 6 giugno 1803. Le vive istanze del Rettore di Vergemoli Don Cipriano Luigi Sarti, e le raccomandazioni del suo parrocchiano Girolamo Girolami, allora Araldo di Napoleone il Grande, indussero i Ministri della Repubblica a concedere la grazia di ritornare il Simulacro della Madonna alla sua antichissima sede. Codesta solenne funzione venne compita il 20 aprile del 1806, con straordinaria pompa e con immenso concorso di popolo giulivo e plaudente.
Quindi il Podestà di Vergemoli nominava un Cappellano per la ufficiatura della chiesa, e due eremiti, approvati dal Superiore Ecclesiastico, che ne avessero la custodia, e andassero a questuare per provvedere a tutti i bisogni del pio luogo e di quella famiglia. Il resoconto di quell'amministrazione si doveva presentare ogni anno dal Cappellano all'esame della Comunità, la quale, come lo aveva riveduto, lo inviava per l'approvazione al Governo della Provincia. Anche prima di questo tempo l'Autorità Municipale aveva una tal quale ingerenza sugli affari di quel Santuario. Di fatti gli uomini di Calomini, il 22 marzo del 1795, deliberarono di lasciare al chierico Cristoforo Vangioni L. 230.44 all'anno, in ricompensa dei servizi che, per mezzo secolo, aveva prestati al pio luogo; e il Supremo Consiglio di Economia ratificava senz'altro codesta assegnazione. Così andarono le cose sino al 1841, nel qual anno l'Autorità Ecclesiastica intimò alla Comunità di cedere le chiavi dello stabilimento e tutte le carte relative all'amministrazione. Si rispose con un deciso rifiuto, giustificando col diritto di giuspatronato che il Comuneesercitava sull'oratorio; diritto che ostinatamente difese, pronto soltanto pro bono pacis a condiscendere sul restante, quando venisse alleggerito dall'onere del mantenimento. La Commissione Ecclesiastica peraltro tenne ferme le sue domande; nominò senza più il Cappellano, e prese di tutto l'amministrazione. Allora la contesa fu portata dinanzi al trono; ed il Sovrano decretò il 25 giugno 1842 che, se il Vescovo reclamava la giurisdizione dell'oratorio, gli venisse tosto accordata, a condizione che il Comune restasse esonerato da ogni obbligo verso l'Eremitaggio. Non fu peraltro con questa ordinanza tolto, come speravasi, ogni dissapore intorno alla delicata quistione. Il Cappellano rinunziava al suo ufficio; e tosto era ordinato al Sindaco di Vergemoli che mandasse una persona del Municipio per ricevere in consegna tutti gli oggetti e tutti i mobili dell'Eremitaggio, e del locale adiacente (già destinato ad uso di Lazzaretto), i quali dovevano poi a tempo debito esser ceduti al novello sacerdote e custode. Come Dio volle si giunse ad un accordo; e le contese vennero per sempre sopite colla supremazia che il Vescovo di Massa riusciva ad ottenere sull'Eremo di Calomini, per l'amministrazione del quale redigeva un acconcio regolamento, presentato il 5 luglio 1846 al Governo, che non solamente lo approvava, ma prometteva eziandio il suo valido aiuto per farlo osservare.
Il patrimonio di questa chiesa doveva essere in antico assai ricco, come lo attesta il Terrilogio, di cui abbiamo fatto cenno disopra; ed una prova indiretta l'abbiamo anche nella qualità delle suppellettili, degli arredi sacri, ed argenti, di cui era doviziosamente fornito il Santuario. De' quali fu spogliato, sul principio di questo secolo, dal Delegato dei Beni Nazionali, Capitano Pietro Cilla di Giuncugnano. Si conservano ancora presso il Cappellano gli inventari relativi, che cominciano col 20 Brumale, anno X Repubblicano, e vanno fino al febbraio del 1804. Nelle ultime due consegne venne compreso persino l'organo e l'orchestra. Ma ai dì nostri non possiede che il fabbricato posto a destra del piazzale, insieme alla casetta fuori del portone, che serve ad uso di osteria, la peschiera adiacente al portone, ed il piccolo terreno vignato che resta al disotto del recinto, verso mezzogiorno, che fu donato, non ha molto, dalla famiglia Valenti di Calomini.
A compimento della breve monografia che siam venuti tessendo fin qui, aggiungeremo che, il 27 marzo 1821, fu proibito ilpascolo delle pecore nei luoghi che sovrastano la grotta dell'Eremo, colla comminazione delle rigorose pene volute dall'art. 8 della Circolare Governativa 15 maggio 1820. E nell'intento sempre di allontanare i pericoli, che il rotolare dei sassi, o il precipitare furioso delle acque potrebbe recare alle sottoposte abitazioni, vennero obbligati quei di Calomini a tener ben pulita ed aperta continuamente una fossa che raccoglie le acque sulla sommità della rupe, da dove si scaricano con una graziosa caduta in prossimità dell'Eremitaggio, se non volevano incorrere nella multa portata dalla Notificazione ministeriale del 27 aprile 1818.
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